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Al lavoro con il gregge ogni presenza estranea è considerata con vivo sospetto ed anche l’avvicinarsi di giorno con amichevoli intenzioni richiede un certo sangue freddo perché, scortovi da lontano, i cani vi verranno incontro da tutte le parti con impeto furibondo. Spesso questo impulso costa loro caro dato che fra i frequentatori più usuali delle nostre plaghe sono i cacciatori che, temendo per la propria incolumità, facilmente sono portati a sparare contro i cani. Anzi, vi è una particolare animosità fra le due parti ed i cani dei pastori imparano presto a riconoscere e temere il fucile. Dal canto loro, i pelosi guardiani non risparmiano i segugi distratti o incauti che inseguono la lepre fin tra le gambe delle pecore. Anche per questo è molto interessante studiare il comportamento di questo cane quando è alla guardia del gregge, in quanto da esso origina l’essenza basilare caratteriale di antico ed infallibile guardiano del cane da pastore. Per adempiere meglio a tale compito egli si mette su di una collinetta o dosso che domina il paesaggio e che sovrasta il bestiame che pasce. Appena scorge in lontananza una persona il cane inizia ad abbaiare in modo lungo e trascinato che si fa man mano più corto e secco all’avvicinarsi dell’estraneo. Di conseguenza, vengono avvisati tutti gli altri cani che fanno coro al primo dalle loro posizioni di vantaggio. Appena l’uomo oltrepassa un limite sentito dai cani, questi gli si lanciano contro nella maniera descritta e, da come vanno le cose, sembra che egli debba essere sbranato in pochi istanti; ma, ecco, se costui si mantiene calmo la carica dei cani si ferma bruscamente a pochi passi. Trovandosi circondato da una decina di cani enormi, minacciosi ed irsuti il viandante non prova certo una sensazione piacevole, ma, in realtà, si è trattato solo di un’azione preventiva per evitare che si avvicinasse ulteriormente alle preziose pecore. Resta certo che l’aggressione non è mai lontana e, sapendo questo, i pastori, che scendono nella frequentata Campagna Romana, legano di giorno o lasciano in montagna i loro soggetti più feroci. Parimenti, i cani che scendono nel Foggiano sono notoriamente più temibili dato che la loro solitudine in quelle pianure deserte genera poca confidenza con gli uomini. Nell’accorgersi della visita, il pastore, che tranquillamente disteso ha assistito alla scena, scaccia la schiera prepotente ed accoglie affabilmente il raro visitatore che gli offre l’inconsueto diversivo di una chiacchierata. I cani, nel frattempo, pare non s’accorgano più della presenza estranea e tornano a vegliare. Ma ecco che, terminata la visita ed allontanatosi una cinquantina di passi, il viandante scatena nuovamente il finimondo fra i cani, che lo lasceranno in pace solo quando sarà decisamente lontano. E’ chiaro che esiste per il cane una striscia di territorio attorno allo stazzo o al gregge pascolante che costituisce una sorta di zona di sicurezza oltre la quale una presenza estranea è troppo lontana per essere una minaccia, ed all’interno della quale l’intruso, se amichevole, viene considerato parte dell’accampamento. Ma è quando si varca questa soglia che il cane si scuote e sente di dover affrontare il potenziale pericolo, comportandosi nel modo descritto.
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